5 agosto 2010

Se ce l'ha fatta Maradona...

Qualche settimana fa, nel bel mezzo dei mondiali, mi sono ritrovato a parlare, con un giornalista di scuola milanese, di Diego Armando Maradona.

A Milano, si sa, non tutti hanno amato Diego, eterno rivale negli anni d’oro della Napoli scudettata. Eppure il mio interlocutore, milanese evidentemente atipico e giornalista obiettivo, mi ha tenuto diversi minuti al telefono per farmi un lungo e spassionato elogio del Pibe D’oro. Ineccepibile la sua conclusione:
"Adesso a Napoli, puoi andare da un tossico e dirgli: se ce l’ha fatta Maradona, puoi farcela anche tu."


Di Maradona si sa tutto, o quasi. Per molti il più grande calciatore di tutti i tempi, è stato costretto al ritiro per i problemi con la cocaina, quando ancora era il più forte di tutti. La stessa cocaina che l’ha portato, qualche anno dopo, a un passo dalla morte. Poi, inaspettata anche da chi lo stimava di più, la sua rinascita, l’intervento per ridurre la massa grassa e i problemi di affaticamento al cuore e la nuova vita sportiva da allenatore dell’Argentina. La sua Argentina. L’unico popolo capace di mostrargli la stessa passione e lo stesso incondizionato amore che ha incontrato a Napoli. La sua Napoli.

Quella stessa Napoli che – estate 1990 – ha fatto il tifo per lui, calciatore dell’Argentina che stava facendo fuori l’Italia dal mondiale. E ancora: la Napoli che – estate 2010 – ha trovato immediato sollievo dall’eliminazione prematura della nazionale di Lippi, spostando il tifo verso l’Argentina di Diego. Con tanto di vessilli e bandiere, sventolati dalle finestre. Perché anche adesso che il nuovo Napoli, di De Laurentis, lascia intravedere piacevoli spiragli per il futuro, il popolo di Napoli ha ancora bisogno di Maradona.

Insomma, detto fuori dai denti, Diego ha rappresentato per noi napoletani, una sorta di rivincita verso il resto d’Italia e del mondo. Per la prima volta abbiamo avuto qualcosa che Milano, Genova, Torino ci invidiavano, e al diavolo la disoccupazione, la delinquenza, l’arretratezza industriale. Noi avevamo Diego ed era questo che contava. Diego era una sorta di cura temporanea a tutti i dispiaceri della vita. Per due ore
la Domenica si entrava in una specie di Nirvana all’interno del quale tutto era bello, all’interno del quale era Napoli che comandava. E se un anno perdevamo lo scudetto non era per merito degli altri, ma perché eravamo stati noi a venderglielo. E anche quando Diego se ne andato, per perdersi nei vicoli oscuri di una vita infame, da drogato e da malato, il suo influsso magico ha continuato ad attraversare la città.

Qualche anno fa fu ritirata la maglia numero dieci e, addirittura, negli anni della serie B, per un anno, i giocatori del Napoli vennero fatti vestire con una maglia simil-Argentina, come se questo potesse bastare a risollevare Napoli, squadra e città. Poi ci fu il fallimento. Il buio totale. Si è ripartiti da zero, 5 anni fa. Tanti progetti, tante ambizioni, tante novità. Ma è bastato vedere Diego ai bordi di un campo di calcio, perché l’idea di un suo ritorno tornasse a solleticare le fantasie di tutti i tifosi napoletani. E, un po’, anche della dirigenza.

Purtroppo l’avventura mondiale di Diego non è andata come tutti speravamo. Tornato in Argentina, l’intero popolo lo ha osannato, chiedendogli di rimanere comunque alla guida della squadra. Probabilmente a Napoli, per lui – e solo per lui – avrebbero fatto lo stesso. Molti dicono che il Maradona allenatore non sia grandissimo, perlomeno non come lo è stato da calciatore. Ma questo non ditelo agli argentini. E nemmeno ai napoletani.

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