Tre, due, uno. Fischio d’inizio. Dopo tanta attesa, tante discussioni, tanti dibattiti, sono cominciati i diciannovesimi campionati del mondo di calcio. I primi in territorio africano. È il Sud Africa di Nelson Mandela il paese prescelto per questa svolta epocale.
Giorno dopo giorno le grandi big cominciano a scendere in campo, qualcuna delude, qualcuna sorprende. Le quote dei bookmakers danno per favorite Spagna e Brasile. L’Italia, detentrice del titolo, parte più indietro nei pronostici e la partita d’esordio, di certo, non ha cambiato le carte in tavola.
Intanto qualche vincitore già c’è: sono i produttori delle vuvuzela, le trombette ad aria africane, snervanti e monocorde, che stanno facendo da colonna sonora (si fa per dire) ad ogni attimo di questa competizione. Pare che anche in Europa ne siano state vendute oltre un milione e mezzo. Non c’è che dire: un vero affarone.
Un mondiale che, come sempre succede, ha fatto tanto discutere gli sportivi, prima ancora che si scendesse in campo. Ogni nazione ha avuto le sue mille diatribe su cui battibeccare. Ne sa qualcosa l’Italia di Lippi, colpevole, a detta di molti, di aver lasciato a casa i talenti irrequieti di Cassano (su tutti), ma pure Balotelli. E perché no, Miccoli. Meglio favorire il gruppo, avrà pensato il nostro mister. Chissà se il campo gli darà ragione.
Paese che vai, escluso eccellente che trovi. Maradona, in questo periodo tra i personaggi più nominati dai giornali di tutto il mondo, ha lasciato a casa i pluridecorati interisti Cambiasso e Zanetti e ha rinunciato al napoletano Lavezzi, per portare con sé il trentaseienne Martin Palermo. Anche Dunga ha rinunciato al talento di Pato e Ronaldinho, mentre Domenech, allenatore di una Francia qualificatasi per il rotto della cuffia, grazie ad un tocco di mani di Henry, è finito sulla graticola per aver schierato nella partita d’esordio Gorcouff, piuttosto che Malouda, dato, invece, in grandissima forma. Non se la passa meglio Capello, in Inghilterra, che dopo il pareggio d’esordio dei suoi, è finito al primo posto sul banco degli imputati.
Una cosa è certa: che sia per lodare o per criticare, in questi giorni non si può fare a meno di parlare di calcio. E non è necessario essere esperti o grandi tifosi. In fondo il bello di un campionato del mondo è proprio questo: tutti sono autorizzati a diventare tifosi. E poco importa se a malapena si riesce a distinguere un fuorigioco da una rimessa dal fondo. D’altra parte, il calcio è, da sempre, uno dei migliori palliativi ai mali del mondo. Non li sconfigge, ovvio, ma perlomeno aiuta a sopportarli meglio, con più serenità. Per novanta minuti. Il tempo di una partita. Tre (partite) sono assicurate per tutti, quelle del girone di qualificazione. Poi, chissà.
Peccato allora che tra le grandi favorite, in quest’edizione, non ci sia la Grecia, che, anzi, a giudicare dalla partita d’esordio, non pare destinata a fare molta strada. In terra ellenica, di questi tempi, hanno un bel po’ di gatte da pelare e altrettanto bisogno serenità. E con la Grecia tanti altri stati del mondo. Ma non tutti possono avere il privilegio di partecipare ad un campionato del mondo.
Noi, in Italia, ce l’abbiamo avuto. Buon per noi. Buon per la nostra classe dirigente che ha una ragione in più per fare il tifo per la nazionale: un trionfo mondiale metterebbe in secondo piano problemi più seri come la finanziaria o la legge sulla intercettazioni. Gran parte della classe politica, dunque, è davanti agli schermi con il tricolore spiegato. Gran parte, ma non tutta, probabilmente, visto che, pare, Radio Padania non faccia proprio il tifo per gli azzurri. E chissà cosa ne pensano i ministri leghisti.
Intanto, comunque, la grande novità di quest’anno è l’opportunità di supportare l’Italia senza fare involontaria propaganda ad un partito politico. Quale? Indovinate un po’. A meno che dagli spalti, anziché ai goal e al bel gioco, non si decida di inneggiare alla libertà e all’amore. E allora sarebbe stato tutto inutile. Ma francamente la vedo improbabile.
E allora diciamolo: Forza Italia. Gridiamolo forte, da destra a sinistra. Gridiamolo tutti, adesso che non c’è più margine di equivoco. E se lassù in Padania, qualcuno preferisce tifare Paraguay, beh, non mancheremo di farcene una ragione.
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