12 agosto 2010

Diversamente normali, normalmente diversi

C’erano una volta gli handicappati. Poi vennero i disabili. Adesso è il turno dei diversamente abili. È questo, in ordine di tempo, l’ultimo termine coniato dall’intellighenzia contemporanea, per definire coloro che, per un motivo o per l’altro, non sono in pieno possesso di tutte le facoltà fisiche e/o mentali.

Diversamente abili, dunque. Che, in fondo, è un po’ come dire diversamente normali. Diversamente normali, allora. Ma siamo proprio certi che questo tentativo di riqualificazione linguistica serva, tout court, a ri-abilitare chi abile, di fatto, non lo è? E aggiungo di più: se, invece, quest’evoluzione lessicale fosse addirittura controproducente?

Mi rendo conto che temi come questo sono delicati da affrontare e so che questa mia provocazione rischia di apparire immorale o inopportuna. E così, per evitare fraintendimenti, vi racconterò un aneddoto…


La storia che vi dicevo è ambientata ai giorni nostri. Precisamente a quest’estate, quando, per una serie di circostanze, ho incrociato uno stabilimento balneare molto particolare. Il lido “Voglia di mare”, a San Felice al Circeo, è uno stabilimento, per definizione, accessibile a tutti. Cioè in grado con le sue strutture, di garantire la “completa balneazione” anche a chi ha impedimenti fisici.

La “struttura” utilizzata è molto più semplice di quanto la complessità del problema possa indurre a pensare: una passerella in cemento che arriva fino ad ogni ombrellone, lettini leggermente rialzati per facilitare il passaggio dalla carrozzella, sedie con ruote larghe che arrivano fino al mare, bagni abbastanza larghi da permettere l’ingresso di una sedia a rotelle. Tutto qui. Nulla, insomma, che richiedesse chissà quale particolare genio creativo o insostenibile investimento. Eppure il risultato è notevole. Mai viste, in vita mia, tante persone, piene di problemi, eppure felici e a loro agio.

Tutto questo mi ha indotto a due tipi di valutazione. La prima, di carattere politico-sanitario, è molto semplice e, credo, condivisibile da tutti: ma è davvero così difficile favorire la diffusione di luoghi come questo? Non dico l’abbattimento, ma perlomeno l’abbassamento delle barriere, è un’impresa così ardua da sostenere? Lascio ai posteri l’ardua sentenza e procedo con la seconda valutazione.

Questa volta l’ambito è quello socio-linguistico. E la riflessione è più profonda. Mi spiego meglio. Il punto di forza dello stabilimento “Voglia di mare” è la creazione di un ambiente “diverso”, all’interno del quale handicap e malattia non vengono nascosti, né rinominati con definizioni meno dure, ma tranquillamente esibiti. E il tutto con la massima dignità. Come dire: non più diversamente abili, ma abilmente diversi. Non più diversamente normali, ma normalmente diversi.

Semplice. O no?

2 commenti: