5 giugno 2010

In principio era... l'avverbio

Laureato, precario, fuori sede. La descrizione del “lavoratore” italiano di nuova generazione, potrebbe cominciare così. Non c’è dubbio sul fatto che i primi due requisiti – laureato e precario – siano più rilevanti del terzo – fuori sede – tanto da diventare, materia di discussione per politologi, economi e sociologi più o meno accreditati.

Non me ne voglia nessuno, però, se per una volta – e una soltanto – evito di unirmi al coro di lamentele sulla scarsa incisività professionale del titolo di studio e sulla crescente precarietà dei contratti di lavoro, per dedicarmi, sulla base di una lunga e talvolta sofferta esperienza personale, alla disquisizione sui disagi della vita di un fuori sede.


Esistono due grandi categorie di pendolari: quelli giornalieri e quelli “periodici”. I giornalieri sono esseri per metà uomini e per metà seggiolini di treno che provano a mettere insieme interessi familiari, professionali ed economici sacrificando abbondanti porzioni di tempo (e pazienza) all’interno dei vagoni di un treno, che il più delle volte, per ragioni di costo o destinazione, è un treno intercity – o peggio ancora regionale – e non certo un treno alta velocità.

I pendolari periodici, invece, possono essere suddivisi in altre ulteriori sottocategorie. Ci sono i settimanali, i quindicinali, i mensili e addirittura i “festivi”, quelli cioè che ritornano a casa solo per le feste comandate: Natale, Pasqua e Ferragosto. C’è chi viaggia in macchina, chi sceglie l’aereo e chi – la maggior parte – sfida la sorte affidandosi ai treni.

Anche qui vale il ragionamento di cui sopra: le ragioni del portafoglio costringono il più delle volte a preferire i treni meno costosi, più lenti e, di conseguenza, meno agevoli. Con tutto quello che ne viene appresso: seggiolini sporchi, climatizzazione a intermittenza (se ti va bene), ritardi costanti e relativi rimborsi non ricevuti. Su scarsa igiene, guasti e ritardi non serve dire altro, se non sottolineare l’incongruenza tra costo del biglietto e servizio offerto. Molto più interessante, invece, può essere un approfondimento su modi, tempi e regole dei rimborsi, a cui si avrebbe diritto, in caso di ritardo del treno.


A norma di regolamento, chi viaggia a bordo di un treno ha diritto al risarcimento di una parte del biglietto, solo nelle circostanze in cui il ritardo del treno dipende ESCLUSIVAMENTE da colpe di Trenitalia. Molto spesso, quando leggiamo, diamo poco peso agli avverbi di modo, ricordando i tempi in cui, da studenti, li utilizzavamo nei temi e nei riassunti solo per allungare il brodo e guadagnare qualche rigo in più. Chiaramente, fondamentalmente, effettivamente, e i nostri scritti, per magia, diventavano più lunghi. Ma in questo caso non è così. Stavolta l’avverbio ESCLUSIVAMENTE non è un avverbio di modo fine a sé stesso. È un astuto stratagemma capace di trasformare, da solo, un regolamento ferroviario in una portentosa presa per i fondelli.

Nella mia sopracitata esperienza personale, mi sono visto rifiutare, causa l’avverbio ECLUSIVAMENTE, decine di richieste di rimborso. Tra le tante, però, ce n’è una che spiega al meglio la situazione. Risale a più di un anno fa, quando il rimborso prevedeva una complicata e lenta procedura. Dovevi prima procurarti un modello per la richiesta – pari a 1 ora di fila in biglietteria – poi potevi compilare il modello e quindi aspettare qualche settimana (a volte mesi) in attesa di una risposta che, spesso e volentieri, era negativa. La lettera che in quella circostanza mi fu recapitata a casa, diceva grosso modo così:

Gentile cliente, siamo spiacenti di comunicarle che la sua richiesta di rimborso per il viaggio del XXX a bordo dell’Intercity XXX non potrà essere accettata poiché 6 dei 34 minuti di ritardo effettuati dal treno corrispondente sono dovuti a cause indipendenti da Trenitalia.

Le X, ovviamente, stanno al posto di una data e di un treno che ammetto di non ricordare e non posso certo controllarli, avendo cestinato, per la rabbia, quella lettera pochi secondi dopo la lettura. Ma senza alcun margine di errore, posso affermare che il senso era assolutamente questo:
34 – 6 = 28
Ventotto minuti. Due in meno del tempo allora necessario all’ottenimento del bonus. Quello che si prova in questi momenti è difficile da descrivere. E solo chi è abituato a viaggiare sui treni, può comprenderlo fino in fondo. Non è una questione di soldi. Non sono certo quegli spiccioli a cambiarti la vita. È la presa di coscienza di essere stati banalmente sconfitti da un qualsiasi avverbio di modo.

Un avverbio capace, da solo, di farsi beffe di centinaia e centinaia di passeggeri, probabilmente ignari delle mille insidie della grammatica italiana. Come dire: in principio era l’avverbio. Il Vangelo del fuori sede italiano di nuova generazione, potrebbe cominciare così…

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