25 luglio 2011

Droga, decesso e rock 'n roll

Si chiamava Amy, aveva 27 anni e veniva da Enfield, in Inghilterra. Faceva la cantante. Faceva, perché adesso non c’è più. E’ morta di overdose.

Si è conclusa così la breve e intensa vita di Amy Winehouse. Figlia di un’infermiera e un tassista, a soli 10 anni fonda il suo primo gruppo rap. A 13 viene cacciata da una scuola di teatro per indisciplina. E per un percing che proprio non piacque ai suoi insegnanti. A 16 anni comincia la “carriera” da professionista e a 20 pubblica Frank, il suo primo album.

Ma il grandissimo successo arriva nel 2006 con il secondo (e, ahimè, ultimo) disco Back to Black. Ad anticiparne l’uscita è il singolo Rehab, uno stepitoso successo internazionale. Rehab racconta del suo rifiuto di disintossicarsi dalla droga e dall’alcol, un rifiuto che le costa caro. Parecchio caro. Il 23 Luglio scorso, la Winehouse è stata trovata morta nella sua casa di Londra. L’autopsia nei prossimi giorni svelerà le cause del decesso. Pare abbia esagerato con l’ecstasy.

E così a 27 anni Amy dice addio. 27 anni come Jim Morrison, come Jimi Hendrix, come Janis Joplin. Come loro Amy era stravagante e talentuosa. Come loro era una persona fragile. Quella fragilità accecante che impedisce di trasformare la creatività in arte di vivere, che fa della grinta, irrequietezza e dell’estro, follia. Lo aveva capito anche sua madre che oggi dice: “la morte di mia figlia era solo questione di tempo.

Amy e sua mamma, si erano incontrate appena 24 ore prima della sua morte. Sull’uscio Amy le aveva detto: “ti voglio bene, mamma.

Perchè dietro il talento e oltre la follia c’era pur sempre un cuore di figlia.


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