29 settembre 2011

Siamo uomini o giornalisti?

Si dice che un buon giornalista sia quello capace di arrivare sulla notizia prima degli altri. E magari di trovarsi sul posto in cui il “fatto” avviene prima che sia troppo tardi, così da dare informazioni sull’accaduto sulla base di ciò che ha visto e non solo di quello che gli è stato raccontato. I propri occhi e le proprie orecchie, insomma, prima di qualsiasi fonte o testimone. Questione di talento, ovviamente, di intuito, di esperienza. E qualche volta di fortuna. Perché capita che sul “fatto” ci si trovi non per scelta, ma per una mera e pura coincidenza.

Così è successo a me, ieri, quando, uscito dall’asse mediano ad Afragola, mi sono ritrovato nel bel mezzo di una guerriglia urbana che stava per nascere. Il tutto è accaduto nel Rione Salicelle, quartiere degradato sito, appunto, all’uscita di Afragola (provincia nord di Napoli) dell’asse mediano. Qui, ormai da anni, centinaia di famiglie – perlopiù di origine napoletana e rimaste senza casa dopo il terremoto del 1980 – occupano abusivamente le case popolari. Motivo per il quale sono stati disposti alcuni sfratti che proprio in questi giorni avrebbero dovuto avere inizio. Ma, poi, ci si è messo di mezzo l’intero quartiere che ha bloccato le strade con i copertoni, ha bruciato cassonetti e rifiuti per strada, ha attaccato gli agenti di polizia con bottiglie e altri oggetti contundenti. Lì in mezzo, prima che tutto degenerasse, c’ero anche io.

Erano le 16.30 circa, non c’erano ancora le forze dell’ordine, non c’erano scontri, non c’erano fiamme e lacrimogeni, non c’erano oggetti che volavano per aria, non c’erano ancora stati i due arresti ai due presunti promotori della guerriglia. C’era solo caos, tanto caos. E centinaia di persone in balia degli eventi. Ho visto donne e bambini scendere per strada, senza sapere dove stavano andando e a far cosa. Ho visto uomini assurgersi a capi popolo, senza sapere veramente quali ordini dare e a chi. Ho visto passanti – in auto – che velocemente facevano inversione di marcia e con la coda dell’occhio seguivano i protestanti, senza sapere se valesse la pena, starsene a guardare o lasciarsi sopraffare dalla paura. Prima è stata bloccata la strada che dall’uscita dell’asse mediano portava verso il centro del paese, poi, mentre tutti tornavamo indietro, provando a riprendere l’asse mediano (l’unica via di fuga rimasta disponibile), alcune persone hanno cominciato a tirare fuori dei copertoni per bloccare anche quella strada. Non era chiaro cosa stesse succedendo. Non lo era per noi passanti. Probabilmente non lo era nemmeno per loro che protestavano. Quando ho capito che la curiosità non era un motivo valido per rimanermene lì, a fare comunella con una massa inferocita e irrazionale, già c’erano decine di copertoni davanti a me. Li ho dribblati, con una prontezza di riflessi che non pensavo di avere e ho ripreso l’asse mediano, fino alla prima uscita utile. Non ne sono sicuro, ma credo di essere stata l’ultima macchina riuscita a passare. Poi il caos.

Nel giro di un’ora la zona è stata bloccata, sono arrivate le camionette della polizia, tutto l’asse mediano era, di fatto, paralizzato. Quattro ore di guerriglia bella e buona, che si è placata solo quando è arrivata notizia che gli sfratti sarebbero stati rimandati a data da destinarsi. Un intero quartiere sceso in massa per strada, a sostegno di vicini e dirimpettai. Non che si trattasse di semplice cortesia, dettata dalle regole del buon vicinato, sia chiaro. Il fatto è che lì in quel quartiere di abusivi ce ne sono tanti, tantissimi. Gente, quasi sempre, di un livello culturale non troppo alto, eppure dotata di un insospettabile acume, quando in ballo ci sono i propri interessi. Merito o colpa di un’educazione acquisita per strada, più che sui banchi di scuola, figlia di una povertà irreversibile, con il suo bagaglio di regole e vizi, con le sue norme comportamentali e i suoi cliché, spesso incomprensibili per chi quegli stessi mondi non li vive e condivide. In quel rione, esempio tangibile di tutto ciò, mai nessuno è stato sfrattato. Ormai da 30 anni. E guai a permettere che si cominci. Sarebbe un precedente troppo pericoloso per tutti gli altri che abusivamente ci abitano. Potrebbe essere un stimolo per istituzioni e forze dell’ordine a continuare, a completare l’opera di pulizia. E invece no, c’è da far intendere, chiaro e tondo, che il gioco non vale la candela, che è meglio desistere. Per questo, seppure a malincuore, sento di dover definire quei comportamenti sapienti. Sapienti perché funzionali al (loro) obiettivo finale.

A queste conclusioni ci sono arrivato ieri, mentre repentinamente provavo a tirare fuori me e la mia macchina nuova dalla genesi di un inferno. E ci sono arrivato perché in quel momento non ero un giornalista. O almeno non soltanto. Ero un uomo in mezzo ad altri uomini. E - al di là del talento e dell’intuito che potrei anche non avere - è questo il vero segreto per raccontare il mondo. O no?

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